IL SIGNIFICATO DELLA CONSAPEVOLEZZA

– Il nostro concetto di energia

L’energia vitale attraversa l’universo cosi nel macrocosmo come nel microcosmo. Nell’uomo pervade le cellule, gli organi, le parti del corpo (segmenti) e infine l’intero corpo. In biologia vediamo che il ciclo di Krebs descrive l’aspetto meccanico di ciò che avviene negli animali, e in particolare descrive il processo di produzione, di trasporto e di utilizzo dell’energia a livello di molecole e di cellule, tale processo costituisce il motore della vita nell’organismo umano, 

Questo flusso di energia vitale, che nella sua funzionalità naturale permetterebbe all’uomo di mantenere (e ripristinare in caso di necessità) uno stato di perfetta salute e di piena realizzazione di sé, nella realtà è fortemente compromesso da limitazioni delle manifestazioni naturali di autoregolazione, queste limitazioni costruiscono a livello connettivo-muscolo-scheletrico la struttura caratteriale fisica degli individui, e a livelli più sottili quella che W. Reich chiama “peste emozionale”. La peste emozionale è “la malattia” contagiosa che ha origine dalle frustrazioni dei bisogni della prima infanzia, e che attraverso la limitazione del flusso energetico sopprime le manifestazioni vitali naturali nel singolo individuo, e di conseguenza causa violenza, falsità, manipolazione, sopruso nell’individuo e nella società. Nel libro “L’assassinio di Cristo” Wilhelm Reich descrive come la peste emozionale sostenga e sia sostenuta di generazione in generazione da un sistema di credenze atte al mantenimento del potere che cristallizza l’impulso vitale degli individui in comportamenti rigidi e ripetitivi. 

W. Reich sviluppò a partire dagli anni ’30 del secolo scorso un filone di ricerca con gli strumenti della biologia e della fisica nel campo dell’energia vitale che chiamò funzionalismo energetico; come psichiatra e psicoanalista, con gli strumenti della clinica verificò attraverso l’esperienza con i suoi pazienti la base energetica dei processi biologici, compresi quelli emotivi e cognitivi. Il funzionalismo energetico di Reich rappresenta un salto di qualità, il passaggio di ottava, un nuovo paradigma che supera il pensiero meccanicistico centrato nel corpo, supera la mistica centrata nello spirito, e supera la psicologia centrata nella psiche, per entrare in un sistema di pensiero integrato, sistemico, psicosomatico, che ci permette di creare la nostra vita e di conoscere come costruire la realizzazione di noi stessi. Un sistema di pensiero lineare ma complesso capace di dialogare con sistemi di pensiero di altre culture e tradizioni 

– L’energia porta l’informazione

Quando noi usiamo la parola “energia” generalmente pensiamo alla luce pulsante del sole, alla lampadina elettrica, alle fonti di calore, al carburante per l’auto e al combustibile per il riscaldamento, pensiamo cioè a concetti provenienti dalla fisica e legati all’esperienza quotidiana. Nel paragrafo precedente abbiamo aggiunto a tutto ciò il concetto di energia vitale, soffermandoci sul sostantivo “energia” più che sull’aggettivo “vitale”, rimanendo su un piano piuttosto materiale e fisico. Quando invece parliamo di “consapevolezza”, la nostra associazione va alle idee, alla mente, alla filosofia, allo spirito, alla psiche. La parola “energia” resta legata alla scienza, misurabile, oggettiva, mentre la “consapevolezza” richiama tutto ciò che non è misurabile, legato a sistemi di credenze non scientifiche. Facciamo fatica a immaginare un’interazione fra energia e consapevolezza. Tuttavia vogliamo considerare alcuni elementi sperimentabili, che ci conducono ad affermare che l’energia trasporta l’informazione, e quindi che un flusso energetico funzionale permette una consapevolezza piena, ed al contrario un flusso energetico bloccato o distorto permette una consapevolezza limitata. Per fare questo è necessario attivare l’osservatore di sé stessi e porre la massima attenzione al proprio corpo, sentirne le sensazioni ed emozioni. 

– Un primo elemento proviene dalla percezione di maggiore energia nelle parti del corpo che mobilitiamo con il movimento, nel bodywork per esempio; unita alla sensazione di benessere o di disagio, talvolta anche di dolore. Muovere energia porta consapevolezza nelle parti del corpo coinvolte, acuisce la sensibilità locale e risveglia maggiore possibilità di movimento. Dolori dimenticati, propriocezione amplificata, sensazioni di flusso o calore o eccitazioni sconosciute vengono a galla. 

– Un secondo elemento è l’emozione che affiora durante la mobilitazione di un arto o di un segmento, o durante un atto respiratorio, dalla rabbia alla tristezza alla gioia: muovere energia restituisce la capacità  di sentire l’emozione presente, porta consapevolezza sullo stato emotivo precedentemente mascherato da insensibilità. 

– Un terzo elemento più difficile da produrre ma più importante sono le immagini o i ricordi che appaiono all’improvviso alla mente durante 5il bodywork: muovere energia ossigena il nostro corpo e il nostro cervello e illumina aree prima oscure della nostra mente o della nostra memoria, e apre porte nuove alla comprensione, dunque alla consapevolezza. L’energia vitale è perciò energia in movimento, e quanto più è vitale tanto più porta consapevolezza. 

Attenzione e Osservazione

L’attenzione è l’elemento da cui ha inizio il processo di conoscenza di sé ed il lavoro sulla consapevolezza. Con l’attenzione assumiamo la funzione di osservatore di noi stessi e cominciamo ad “accorgerci”, a “renderci conto”, a “riconoscere” emozioni e sensazioni, cioè facciamo esperienza della “presenza cosciente” (awareness). Per osservare la nostra dimensione intrapersonale è necessario sviluppare la capacità di percepire le nostre emozioni, e questa a sua volta dipende dalla capacità di sentire le sensazioni che il nostro corpo fisico produce in risposta e a latere delle esperienze. L’Osservatore è colui che semplicemente osserva senza giudizio, non mira a modificare alcunchè ma si limita a prendere atto con distacco, realizzando il dualismo osservatore-osservato, soggetto-oggetto; tuttavia non è uno spettatore inerte, perchè il suo compito è quello di tenere la luce accesa per dissipare le tenebre dell’inconsapevolezza. Ed anche solo guardando senza intervenire si scopre veramente tanto e si produce trasformazione, perché il modo in cui focalizziamo la nostra attenzione ci aiuta a modellare direttamente la nostra mente. Osservare trasforma. 

Principio di Carica e Scarica

Il principio di Carica e Scaricaindividuato già da S.Freud nei suoi studi sul principio di piacere, diventa con W. Reich centrale e fondamentale nel suo approccio psicosomatico. L’investimento energetico sulla parte del corpo che attende la soddisfazione del desiderio è come un arco teso che attende lo scoccare della freccia, e finalmente quando questo accade si raggiunge il piacere, avviene la scarica, cade la tensione. Reich parte da qui, per ricondurre la vita stessa ad una alternanza di carica e scarica, più precisamente ad una pulsazione come alternanza di espansione e contrazione. Entrambe le fasi sono necessarie, non c’è inspirazione senza espirazione, ma carica e scarica possono fluire armoniose in modo sano oppure essere limitate o disarmoniche. Nella vita ci caricano il desiderio, l’aspirazione, gli obiettivi da raggiungere, l’entusiasmo, l’eccitazione, lo stimolo all’azione; la scarica avviene invece conquistando gli obiettivi, soddisfacendo i bisogni, agendo ciò che sentiamo, piangendo, ridendo, esprimendo un’emozione, raggiungendo l’orgasmo. Le nostre difese caratteriali ci conducono a reiterare il modello imparato nell’infanzia, in cui abbiamo vissuto come pericolosa la carica o la scarica, e dunque alteriamo il flusso energetico naturale: la carica può essere trattenuta e non scaricata, dispersa prima di raggiungere il momento della scarica, o addirittura evitata del tutto, e così avremo persone sovraccaricate, sotto-caricate, dispersive, ad alto o basso scambio energetico in una specifica parte del corpo o nella sua totalità. Queste sono le zone in cui incontriamo i blocchi fisici. I muscoli entrano in contrazione e rimangono contratti, oppure collassano in uno stato di estrema rilassatezza, impedendo all’energia di passare. 

Bodywork

Alexander Lowen e John Pierrakos allievi di W. Reich colsero nel metodo di lavoro del loro maestro l’importanza dell’aumentare il livello di energia nel corpo dei loro clienti, attraverso esercizi fisici, in grado di portare la carica energetica a superare i blocchi preesistenti, e misero a punto i concetti e le tecniche del Bodywork, ovvero il lavoro fisico di posizione, di movimento, di respirazione, finalizzato al ripristino del flusso naturale. Ma si resero anche conto che se da una parte questi strumenti erano in grado di portare la carica energetica del cliente a superare i blocchi, costui poteva non essere in grado di fronteggiare l’improvvisa disponibilità di energia libera e poteva utilizzarla in maniera scompensata o non utilizzarla affatto. Introdussero allora il concetto e la pratica del Grounding, cioè quella posizione di consapevolezza della propria presenza fisica, emotiva, mentale e spirituale nel “qui e ora” in contatto con sé stessi, con gli altri e con la terra. Il bodywork e le posizioni di grounding aumentano la carica, aumentano la pressione che diventa sempre più grande, poiché lo scopo è raggiungere nell’acme della carica un punto di non ritorno in cui possa avvenire la scarica.

Lavoriamo con la carica quando facciamo danzare, saltare, dare pugni, scalciare, battere i piedi, percuotere il cubo. Con il lavoro di carica mettiamo pressione nei punti in cui c’è uno stato tensivo, riconoscibile attraverso la lettura del corpo, per esempio una rigidità, un accumulo di grasso, una parte sovradimensionata. E’ inutile caricare le zone del corpo che sono in evidente stato di sotto-carica poiché si rischia di non raggiungere mai una condizione di carica sufficiente alla scarica. Lo scopo è quello di caricare quanto possibile per fermarsi in una posizione di scarica in grounding e trovare la vibrazione, ossia la scarica interna. La vibrazione è il segnale che una certa quantità di energia precedentemente caricata è riuscita a passare attraverso il blocco. Le emozioni cavalcano l’energia, quindi con gli esercizi di carica e scarica facciamo muovere, e affiorare le emozioni di cui siamo meno consapevoli, così torniamo ad averle a nostra disposizione. E’ possibile che l’energia in movimento, in maniera passeggera, porti sensazioni piacevoli o anche sgradevoli o dolorose; questi sono segnali di un processo che si è avviato e che ha bisogno di costanza per proseguire, un processo che produce un accesso alle nostre parti più nascoste e autentiche, è l’inizio di un cammino di consapevolezza e di autorealizzazione.

Sé Superiore

John Pierrakos diceva che l’energia vitale è Amore, e che l’energia universale è Amore, che l’energia vitale è un particolare aspetto dell’energia universale. Noi esseri umani siamo in grado con la comunicazione interiore (meditazione), attraverso il nostro sistema corporeo di energia-materia, di contattare direttamente il nostro sé superiore ed attraverso di esso sentire la nostra appartenenza al sistema energetico universale, o se credete, sentire la nostra unità con Dio (contemplazione). Abbracciare il nostro modello, usare le nostre tecniche, oppure affidarsi ad altri operatori, terapeuti, guide, con altre tecniche, altri modelli, è totalmente inutile senza il contatto con il proprio sé superiore, perché lì risiede la nostra autenticità, la fonte della nostra consapevolezza, l’origine dell’anelito che ci conduce a realizzare lo scopo della nostra vita, lì troviamo la meta dei nostri sforzi. Ma la nostra responsabilità è quella di fare le giuste domande, che in quanto giuste ottengono sempre risposta. Il sé superiore è la parte di noi incontaminata che sa guidarci verso ciò che è giusto per noi. Il lavoro che noi affrontiamo per conoscerci, per raggiungere consapevolezza, per scoprire la nostra autenticità, serve per portare allo scoperto 

Nel Grounding la Presenza

Le basi del grounding

Nel nostro lavoro parliamo spesso, di grounding, con il significato di “essere nella presenza”, nel qui e ora, vorrei ora chiarire cosa intendiamo.

Quando iniziamo una camminata abbiamo bisogno di stare nella presenza del nostro corpo fisico per evitare di inciampare così anche quando iniziamo un cammino di consapevolezza abbiamo bisogno di stare nella presenza, in contatto con i nostri corpi (fisico, emozionale, mentale e spirituale); Come esseri umani abbiamo bisogno del contatto con la terra, essa ci sostiene, ci nutre, ci dà riparo e conforto, nella sua atmosfera respiriamo. Dal nostro primo respiro avremo sempre bisogno del contatto con essa. Da quel momento in poi la nostra vita non è altro che un movimento in relazione alla Terra, finché non ne perdiamo il contatto quando esaliamo l’ultimo respiro con la morte. Tra questi due eventi, nascita e morte.

La mamma ci porta su questa terra fisicamente, cioè abbiamo bisogno della connessione con lei per “essere”, per poterci incarnare su questa terra. L’abbraccio e il sostegno della mamma sono come un ponte per il bambino che nasce. Più è sicura quella forma di protezione, più sarà facile per lui trovare il terreno sicuro su cui mettere i piedi. Il bambino inizia ben presto ad esplorare e a muoversi, a poco a poco comincia a mettersi seduto, a gattonare, poi si alza in piedi e impara a camminare. Così come si evolve il corpo fisico, allo stesso modo si sviluppano la mente e le emozioni, ma tutto ha inizio dalla prima affermazione “io sono, io sto sui miei piedi”. Se il bambino non riesce a raggiungere questa forma di affermazione della propria individualità, che lo renda sicuro in autonomia, rimarrà agganciato e dipendente dai genitori. Sentirsi in grounding vuol dire: “io mi sento nel mio corpo”, ed anche “sento e mantengo i miei confini”. Da adulti grounding vuol dire essere in equilibrio con la forza di gravità in tutte le sue dimensioni, un equilibrio attivo, non statico, vuol dire avere un contatto piacevole con il nostro corpo. Se siamo ben radicati e ben equilibrati abbiamo una vita piacevole, e se c’è piacere nella nostra vita ci sentiamo sicuri, accolti e pronti a partire in qualunque direzione scegliamo. Il grounding si realizza non solo attraverso i piedi ma attraverso tutto il corpo in tutte le sue componenti: è per questo che occorre vedere il grounding oltre che dal punto di vista fisico, anche da quello emozionale, mentale, e spirituale.

Grounding fisico

Se il nostro corpo fisico è contratto, presenta dei forti blocchi, respiriamo male, non siamo in condizione di assumere forza vitale dal respiro, dalla luce del sole, dal riposo e di lasciarla fluire dentro di noi. Il risultato è che non ci sentiamo veramente vitali. Quando si è radicati, presenti c’è un fluire molto dolce in noi e tra noi e l’ambiente, uno scambio di energia con la terra e con le altre persone. Negli esercizi per il radicamento fisico si lavora con il movimento e con posizioni fisse di integrazione, fino a far emergere una vibrazione spontanea e involontaria nelle gambe o in altra parte del corpo. Spesso questa vibrazione indotta dagli esercizi ci sorprende e poichè sfugge al nostro controllo può creare disagio, ci può fare paura, e quando abbiamo paura il corpo si contrae: molto velocemente il respiro si interrompe, si perde la consapevolezza, non si sente più il corpo. Si tratta di una reazione automatica, dunque è tutto quasi istantaneo, come se dentro di noi ci fosse un bottone che viene spinto dalla paura e si perde subito il grounding. Tuttavia è proprio nell’esperienza della paura che più abbiamo bisogno di grounding. Questo comportamento ripetitivo è una difesa dal pericolo o presunto tale appreso nell’infanzia: il bambino piccolo nel momento in cui non si sente al sicuro, smette di muoversi e limita il respiro; se poi c’è qualcosa in più dell’insicurezza, come terrore, paura, panico, smette di emettere qualsiasi suono. Dunque da adulti, emettere suoni può essere un valido contributo per tornare in grounding, è come buttar fuori con la voce la paura stessa. Se il bambino non riceve dalla madre la sensazione che qualsiasi cosa accada è al sicuro, da adulto non si sentirà mai al sicuro in qualsiasi posto sia, e dunque non potrà liberarsi della madre a cui la prima richiesta di sicurezza era rivolta, e rimarrà agganciato a lei. Poiché il tocco è una parte importante della presenza della madre con il bambino, la mancanza o l’insufficienza del contatto provocano problemi di confini e di radicamento; pertanto sarà importante nell’adulto toccare e aver cura amorevole del proprio corpo. Molti hanno fatto esperienza di come il corpo si possa paralizzare completamente. nella perdita totale di contatto, ed è un urlo senza voce, senza parole; molto profondamente dentro di noi cerchiamo, aneliamo a quel ponte che poteva darci sicurezza. Quando accade c’è una chiusura completa, ci ritraiamo completamente e pensiamo “sono perso! ho perso!”. In quel momento il nostro corpo ha bisogno di riconnettersi con la terra e ciò vuol dire sentire i piedi bene a terra, sentire il corpo, muoverlo e dire “questo è il mio corpo, fa parte di me, io sono il mio corpo”.

Grounding emozionale

Il grounding emozionale è ben rappresentato dalla frase “io conosco i miei bisogni”, e sapere ciò che si vuole significa ancora una volta affermare “io sono”. Elementi fondamentali sono il riconoscere i propri veri bisogni, dai falsi bisogni, prendersi la responsabilità di essere veri. Ognuno di noi conosce la differenza fra situazioni in cui, quando provocati, reagiamo in automatico agendo le nostre emozioni negative, ed altre volte in cui nella provocazione semplicemente osserviamo consapevoli l’emozione che proviamo, e diciamo: “no, questo non lo voglio”; e sappiamo anche come quest’ultimo atteggiamento possa cambiare la situazione. Una persona infatti può sentirsi ferita da qualcuno, ma se riconosce le proprie emozioni e i propri bisogni allora la sua azione sarà chiara, e sarà possibile non cadere nel conflitto. La reazione eccessiva spesso è più dolorosa e penosa dell’azione che l’ha determinata, perché non si è più in connessione con le emozioni vere di quel momento. Essere emotivamente in contatto con sé stessi rende la relazione con l’altro più facile. L’essere emotivamente radicati è una sensazione che dà piacere e che dà una forza molto grande, non ci sentiamo più in balia di ciò che succede e possiamo mettere confini, possiamo essere veri.

Grounding mentale

Il radicamento mentale consiste nella consapevolezza del proprio processo di pensiero. Significa distinguere la realtà dall’immaginazione, l’idea, dalla credenza. Presenza mentale vuol dire imparare l’arte dell’osservatore, cioè staccarsi dal proprio processo mentale per poter osservare dall’esterno i pensieri che scorrono: così si riconoscono i diversi livelli di pensiero, sia esso logico razionale, intuitivo, creativo, onirico o immaginativo. Si può scoprire che per gran parte del tempo il pensiero è un flusso automatico di razionalizzazioni che giustificano e sostengono le nostre reazioni automatiche, che ci portano nella falsità e nell’illusione, ammantandole di buon senso. Imparare ad essere l’osservatore del proprio pensiero è un lavoro di meditazione, che ci porta chiarezza, libertà e sviluppa la fiducia in noi stessi.

Grounding spirituale

Grounding spirituale è la condizione di chi è profondamente connesso con il proprio centro vitale, il Core (Center Of Right Energy), come lo chiamava John Pierrakos. Se non si riconosce la bellezza che è in noi, non si può essere spiritualmente radicati. La persona disconnessa dal proprio Core è colei che si accusa di tutto: “non sono all’altezza, non sono bravo, sono stupido, non riesco a fare niente”, o che rivolge le stesse accuse agli altri “maledetto fu quel libro e che lo scrisse, maledetto l’amato, il suo corpo, maledetto l’amore stesso”. Viceversa, colui che si sente nella presenza, può dire: “sono qui sulla terra, mi muovo e vado alla ricerca di ciò di cui ho bisogno.” Riconoscere l’amore per sé stessi, la propria luce è condizione essenziale per poter ricevere la Luce che viene dall’alto. Possiamo chiamarla Dio, forza vitale, energia universale, o amore. Quando una persona accusa sé stessa, alimenta il senso di colpa mettendo in secondo piano la responsabilità per le proprie azioni. Le colpe che carichiamo su di noi ci impediscono di assumerci le responsabilità che ci competono e di ricevere l’amore dell’altro, e comunque non abbiamo nulla di vero da dare. Se vogliamo amore dobbiamo trovare la nostra autenticità, riconoscendo la bellezza del nostro sé superiore.

Conclusioni

La mancanza di presenza, di grounding è la causa di maggior conflitto su questa terra, non vogliamo essere adulti, vogliamo stare nella posizione del bambino piccolo, vogliamo difenderci, poterci aggrappare a qualcuno o a qualcosa, non riconosciamo le nostre responsabilità, e tutto ciò ci impedisce di crescere. Se vogliamo realizzarci, riconoscere e portare a termine il nostro compito nella vita, abbiamo bisogno di grounding, di stare nella realtà, nella presenza.

Le 4 fasi del processo logico corporeo

di Carlo Gibello

Nel corso della mia formazione ho realizzato che seguire la brama di letture e seminari per acquisire conoscenze può fare un uomo colto ma non costituisce di per sé un lavoro di crescita personale. La crescita di consapevolezza nell’individuo non avviene, se contemporaneamente non avviene un processo di trasformazione del sé. Negli anni di formazione con John Pierrakos per prendere il diploma di practitioner in “Core Energetics Evolutionary Therapy” ho realizzato su di me cosa significa la “trasformazione del carattere”, e negli ultimi vent’anni ho perfezionato un metodo di lavoro che chiamo “Processo Logico corporeo. Grazie poi all’apporto di mia moglie Valentina Sanna ne abbiamo individuato gli aspetti teorici e strutturato la didattica qui descriveremo per sommi capi come questo si sviluppa.

Le quattro fasi del processo.

Descriveremo in parallelo il lavoro sui quattro livelli dell’essere umano:
sugli strati del sé (in blu),
sui livelli corporei (in verde),
sui livelli di consapevolezza (in nero),
e simbolicamente attraverso le cantiche di Dante (in rosso):

Prima fase

Siamo nell’area dei riflessi automatici, ovvero il cliente si è reso conto di essere nella “selva oscura, che la diritta via era smarrita”, ha osservato una situazione di disagio; il counselor considera che esistano sempre dei riflessi automatici, ovvero dei comportamenti ripetitivi che hanno portato alla crisi e alla richiesta d’aiuto, ma non può affrontarli direttamente, pertanto parte dal lavoro sul corpo fisico attraverso il movimento, secondo il principio di carica e scarica. Il movimento carica i segmenti corporei che ostacolano il flusso e la conseguente scarica può liberare energia, cioè attraversa il sé maschera. Qui la funzione di osservatore deve essere rivolta alle sensazioni fisiche, alle percezioni legate al corpo e riconoscibili nei diversi segmenti. Il movimento orienta il processo all’inizio e lo riorienta per farlo ripartire ogni volta che cerchiamo una direzione da far prendere al lavoro o dobbiamo far tornare il cliente nel qui e ora. Senza l’attraversamento della maschera, cioè dei comportamenti ripetitivi della difesa caratteriale, non è possibile lavorare su un piano di realtà, ma si rimane sulla razionalizzazione, sull’idealizzazione, sui pregiudizi e sulle routine di pensiero, sulle emozioni drammatizzate o dissimulate, dove non si può scegliere.

Seconda fase

Nella seconda fase inizia il lavoro che porta alla contezza di sé (awareness), al rendersi conto ed affrancarsi dal proprio sé inferiore, ovvero l’attraversamento del nostro personale inferno, entrando in contatto con le emozioni nascoste. Superata la soglia della maschera si sentono le vere emozioni sottostanti e si può dar loro nome e voce, si possono collegare con le informazioni che continuano ad affluire dal corpo, sviluppando l’attenzione e l’attitudine dell’osservatore sia al piano fisico che al piano emotivo.
È un lavoro di contatto e di scoperta con il nostro sé inferiore, in cui si può guardare con coraggio alle limitazioni, agli aspetti distorti, ai talenti negati, cioè ai “modelli di negazione”. Si può riconoscere, il nostro personale mix di “fear, self will & pride” vale a dire (paura, volontà egoistica e orgoglio).
Riconoscere le emozioni sottostanti al disagio percepito ne scopre strati successivi fino ad arrivare al dolore della propria ferita. Da questa base solida restando nella presenza da adulti senza collassare è possibile accettare ciò che siamo, accettare i nostri limiti, esprimere la volontà di cambiare la direzione. Possiamo riconoscere gli altri come simili a noi.
In realtà questo è il punto in cui diversi modelli di relazione d’aiuto ritengono concluso il lavoro, o tutt’al più aggiungono una coda relativa allo sperimentare possibilità diverse dalla routine, o trovare un canale espressivo della propria spontaneità creativa. Nel nostro modello l’awareness non è conclusiva del processo, perché riteniamo che, come diceva W. Reich, “la rievocazione di un contenuto rimasto fino ad ora inconscio porta sollievo ma non significa guarigione”, e noi intendiamo procedere fino ad accompagnare il cliente fuori dalla prigionia da lui stesso creata.

Terza fase

L’inferno non è infinito, e neanche il nostro sé inferiore lo è, quindi se non colludiamo con esso arriva il momento del cambio di direzione; se questo non avviene, significa che non esiste una volontà di cambiamento, cioè non esiste una volontà di modificare gli automatismi che hanno portato alla crisi, allora il processo non può andare oltre e la terza fase non può essere avviata. Anche secondo Dante si esce dall’inferno solo se esiste una volontà chiara di volgersi al bene, ed allora ci si trova davanti la collina del purgatorio e avviene la fase della comprensione (understanding), La comprensione si avvia grazie all’accettazione senza giudizio di ciò che abbiamo visto nel sé inferiore, non diamo più la colpa agli altri, alla sfortuna, non malediciamo ma ci assumiamo la responsabilità delle nostre distorsioni. In questa fase usiamo la mente logica per ricercare le credenze e le immagini che alimentano la nostra maschera, per riconoscere i meccanismi di causa-effetto che ci hanno portato al disagio e alla crisi, e in questo modo restituiamo alle distorsioni la primitiva natura di talenti. In questo consiste la purificazione simboleggiata dal purgatorio di Dante: la restituzione allo stato di luce di ciò che era stato trascinato nell’ombra. Per John Pierrakos tale purificazione avviene grazie al connettersi al sé Superiore (centering in the higher self). per imparare a posizionarsi nel proprio sé Superiore usiamo la meditazione a tre voci perché non basta riconoscere e accettare ciò che si è, ma occorre individuare direzione e strumenti per trasformare le distorsioni, e il sé superiore conosce le risposte a tali interrogativi. In tal modo si possono ripristinare gli strumenti, scoprire i talenti, identificare gli obiettivi, riconoscere i veri bisogni. Qui è possibile che il cliente o l’allievo realizzi la trasformazione che anelava, è possibile che gli sia ormai chiara la direzione da seguire.

Quarta fase

L’ultima fase, è quella del conoscere (knowing), dello svelare lo scopo della vita (uncovering the life plan) per John Pierrakos. È il Paradiso, nel quale finalmente vediamo al di là delle ombre, gradatamente liberiamo la nostra luce, utilizziamo i nostri talenti disponibili, e semplicemente “sappiamo”. Questo è lo stato di realizzazione dell’individuo, lo stato in cui esiste il libero accesso alle proprie potenzialità e diventa naturale operare scelte, agire senza reagire, sentire e accettare senza giudizio e senza pregiudizi, vivendo nel presente, nel qui e ora. Nel reale flusso dell’energia vitale nei nostri 4 corpi abbiamo così finalmente accesso allo spirito e alla nostra funzione creatrice a cui siamo da sempre destinati già qui sulla terra e così possiamo manifestare lo scopo di questa vita, la ragione per la quale ci si siamo incarnati, possiamo fare l’esperienza della beatitudine. Per dirlo più semplicemente, è la fase dell’autorealizzazione. Generalmente si crede che intraprendere un cammino di autoconoscenza e di consapevolezza, significhi “produrre” un’evoluzione, giungere a stati di coscienza più espansi, raggiungere obiettivi più elevati o almeno migliorare qualcosa di sé o dello stato di benessere. Nella nostra concezione, il processo serve per portare alla luce ciò che esiste già da sempre, serve trovare l’accesso al proprio sé superiore dove dimora già la nostra totale conoscenza. Il processo inizia volgendo lo sguardo noi stessi, affrontando le parti limitanti che impediscono l’accesso al sé superiore, o che impegnano così tante energie che nulla resta per la soddisfazione dei veri bisogni.
Ogni volta che il processo giunge a toccare lo spirito, diventa chiaro anche al cliente che l’amore che da sempre ha cercato è disponibile, e che lui stesso è in grado di darlo e di riceverlo ogni volta che desidera, a patto che sia disposto a “cambiare direzione” almeno in parte. È l’amore che lo ha guidato attraverso tutte le fasi del processo, benché distorto o infantile all’inizio, benché sproporzionato o mal diretto, ancora spesso carico di egoismo e di pretese o ostacolato dalle paure. L’amore è lo strumento e la meta. L’amor che move il sole e l’altre stelle.